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Una destinazione, Las Vegas arcade a Soho. Tra flipper, hockey da tavolo, slot machine. Jonathan Anderson ha portato il womenswear della sua JW Anderson in una sala giochi a pochi passi dal suo store nella capitale inglese. Screensaver di delfini arrivano sui capi, ci sono quelle spiagge incontaminate di palme e tramonti infuocati che per anni si sono impresse sui desktop in standby. Come riflettendo in formato pixel ciò che è fisico e tangibile, o che almeno si suppone lo sia. Immagini se non vere, almeno verosimili: «Letteralmente stock image, acquistabili per un dollaro o un pound», ha detto lo stilista, che ha introdotto l'idea di riflesso e quindi di qualcosa che si specchia, non solo metaforicamente, ma anche in un abito come costruzione a specchio, per l’appunto. «Stiamo cadendo negli schermi? Stiamo diventando il nostro telefono?», si chiede Anderson, rinvigorendo un discorso che non è nuovo affrontare. Lettere di tastiere diventano applicazioni macro disseminate sugli abiti, sono invece tante, piccole e messe una in fila all’altra come pavé sui top. Chiude un abito come maxi maglietta. Recita: «Her majesty the queen. 1926-2022. Thank you».
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June 2024
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