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Tra le volte in ferro, un manto bianco si alza, si gonfia d’aria, poi si abbassa. Una collina che respira. Come il suono di quei polmoni che inspirano ed espirano, che avvolge la sala immacolata come caduta in un secchio di vernice total white. Entrano i coat, una batteria di trench re-immaginati per avvolgere e coprire, con quei cappucci quasi passamontagna, con quegli occhiali scuri a celare lo sguardo. Come scudi, forse per affrontare un presente instabile di tensioni politiche e sociali. Ma le donne Courrèges sono forti, sensuali, addirittura pronte a spogliarsi in un crescendo di sexiness e trasparenze. Gli stivali altissimi, ben oltre la coscia, avvinghiano le gambe. Le interferenze viniliche della maison giocano con il guardaroba. Quando quella fusione di gonna e pantaloni cara a Di Felice calca la passerella, il top è alleggerito come un rettangolo a coprire il busto fissato su un velo di rete nude. Le tasche orizzontali a filetto à la Courrèges si spostano, ne rimane una sola, frontale, all’altezza del pube. Impone una gestualità precisa, perché qui si infila la mano. Sessualità minimalista, erotica in un certo qual senso. Un kink appena perverso. Come quella canottiera che si allunga, il cui fondo è strategicamente tagliato come una scollatura di un tank top ribaltata e aperta di spalline fluttuanti, issata su boots di latex trasparente. In altri dress, il tessuto si riavvolge per tornare al décolleté. Quindi compaiono micro bras. E pezzi trasparenti coperti di filamenti aerei che ondeggiano evocando piume ridotte al loro rachide. Prova di quell’esercizio di sottrazione che per la casa è un feticismo e che ora ha un accenno fetish. Fusione perfetta del tocco belga del talento della dura Charleroi di Nicolas Di Felice e dell’heritage di futurismo minimal di Courrèges.
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June 2024
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